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La nonna, classe 1880

Clelia Garulli
Clelia Garulli

Vive nella memoria e mi parla nel silenzio di questa stanza, lei che è stata mia nonna ed ora che io ricopro le sue vesti, di nonna e, da sei anni, bisnonna.

Nella mente un viso vissuto, nella sua gioventù, bello.

Una donna morigerata, che condusse i giorni tra pizzi di sartoria mancati, e la famiglia, deliziandosi della rosea alba e del rosso tramonto come dipinti di Dio, i quali ammirarli, l'unico prezzo era osservare nella direzione della casa del Padre, (Padre, come Dio, cielo e papà Angelo deceduto in anticipo per malattia, e segnale da cercare spesso).

Ricordava i periodi tristi, la guerra, il razionamento, le sirene preannuncianti rovine e morte e l'ammassarsi nei rifugi, negli anni della seconda guerra mondiale, in Via Ghiaradino, a Granarolo dell'Emilia, dove lei emigrò nel 1939. E la paura per tutte noi bambine (dai sette agli undici anni), per gli uomini della famiglia e per l'invito alla preghiera quando si temevano i tedeschi.

Il suo tempo di poche cose, tante mancanti, e prodotte in modo domestico, familiare.

Il grembiale bianco, con un pizzetto e i ricami bianchi da cingersi in vita quando si operava in cucina, il fazzoletto in testa, annodato alla nuca, i capelli raccolti in un "pipullo", ora più elegantemente definito chignon. Da quel lembo di stoffa esplodeva solo il bel viso. Solo gli orecchini d'oro con ingranate, dono di nozze (il 18/0511905 a Borgo Panigale) del nonno Vittorio, impreziosivano l'incarnato.

L'abito lungo, sempre arricciato e stretto in vita, il corpetto che modellava un seno grazioso e materno, e la biancheria intima, ... che non si indossava. E che parrebbe significasse "da cambiarsi". Forse non propriamente per chi era della classe popolare, perché da cambiarsi c'era proprio poco. Addirittura i calzoni si mutavo a stagione, per gli uomini, e si rattoppavano spesso.
Il vecchio lavamani con l'asciugamano in tela, filata in casa e ricamato a mano, il grande letto in ferro battuto, tutte le masserizie da portare in dote e, i tessuti da inamidare per ravvivarne la finezza.

E tra amidi e stagioni, tra mutandoni degli uomini, "sacconi" (grossi grembiulini con maniche lunghe indossati dagli uomini nei lavori di potatura degli alberi), il tempo ha pesato i suoi arti, ha avvizzito il suo decolletè, ma come ogni donna intelligente (non di studi, ma di intelletto e vita) le rughe sono solo virgole, il discorso continua, pure con un punto e virgola.

Difficilmente interviene un punto interrogativo, magari due punti, per dissertare e dire alle sue bambine, in realtà nipoti, poi donne, io già prossima al matrimonio (avevo venti anni), che ci siamo stati tutti, insieme. Forti della famiglia.

Poi il tramonto, atteso ogni sera per presagire al domani, non ha dato respiro alla nascita di un nuovo giorno; l'ombra ha disteso le sue gesta ed ha reciso quel fiore, sbocciato da tempo, in altri secoli, da cui una propaggine, di un salto generazionale aveva succhiato linfa e frugalità.

Da bambina, attenta alla nonna, a donna attenta alla figura anziana, faceta, debole negli anni incerti a venire, forte di fede.

Ora la bambina, ha visto anni e anni. Sono già più vecchia di lei, di più di dieci anni, da quando dopo gli anni cinquanta (io ero già sposata a Bologna) l'abbiamo accompagnata al camposanto di Granarolo dell'Emilia. E la ricordo, classe 1880, il suo sorriso nel suo riso, nelle passioni, nella curiosità di noi bambine e adulte, ed io già madre ( gennaio 1951), nelle sue lacrime e nelle sue preghiere. Il suo inizio di commiato: "Ascoltami, non lasciare che...", ma il suo discorso è interminabile; si esprime e mi parla ...... ed io ascolto e faccio ascoltare.

Quando racconto a mia pronipote della nonna, lei ride e dice, che sono "bubbole", parola che ha imparato dalla narrazione delle tradizioni, che a volte la piccolina definisce favolette.

 

 

 

Orianna Musiani ricorda nonna Clelia, nata a Borgo Panigale il 26.01.1880 ed emigrata a Granarolo dell'Emilia l'11.11.1939

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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