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Ricordi

 

lo che ho ottantatre anni compiuti e che ho solo frequentato, con scarso rendimento, le classi elementari e lavorato la terra dall'età di dieci anni, ho dato ascolto a mia figlia che ha insistito che narrassi di Granarolo dell'Emilia di sessanta anni fa.

Di questa cittadina che si è trasformata, che vedeva la casa del fascio (l'attuale palazzo in centro), poche case sulla via principale, dove percorreva la linea ferroviaria per Granarolo, Baricella, al trenein, e, dove con mio padre (nato nel 1902) si falciava l'erba fino alla dimora del casellante, a se sgheva al sculein.

A quel tempo c'erano di conoscenza: la cà ed Bargant, (la casa di

Brighenti), la vèla ed Marcovigi(la villa Marcovigi) e la vèla ed Boss (la villa di Bassi).

E così, colto dall'incanto di mia figlia, e dal fatto che le dettavo, altrimenti avrei scritto tutto obliquo, in angolo acuto, con qualche errore. Lei mi ha convinto, quasi gentilmente imposto, che ciò che ricordo è testimonianza negli Altri.

"Gli anziani, qual che an da cuntèr ai ragaz, a la zoventò, in l'ascoltan brisa, e gnanc ai intaresa". (Gli anziani, quello che hanno da raccontare ai giovani, alla gioventù. non lo ascoltano, e neanche gli interessa".)

Il dialetto ci rende, a noi vecchi, ancora più locali, più cittadini, più originari della nostra terra.

Siamo stati legati al nostro paese, la città era raggiungibile in bicicletta, e ce ne erano poche per tutti. Le famiglie erano numerose, e il mosquito o la !ambretta erano, una sola e si faceva a turno, la domenica. Noi vecchi, non abbiamo pensato al mare, semmai se ne è parlato, ma da giovani, as lavureva, si lavorava, si andava al cinema con i soldi della vendita dei conigli o di altri aggiuntivi al lavoro dei campi.

La guerra ci ha stretti nelle famiglie, il bene più grande che avevamo, e ci ha anche rubato dei parenti. Ci ha costretti a scavare rifugi. a costruirli con i tronchi degli alberi. Noi l'abbiamo costruito vicino al macero. Le bombe, i bengala. E la precedente, alla Grande Guerra. Tanto, tutte le guerre portano alla morte e distruzione.

Al fradel ad mi nòn, (il fratello di mio nonno) mai più tornato, e mio padre lo diceva sempre "A né piò turnè, puvratt" (non è più ritornato dalla guerra, poveretto), l'è morilasso, vicino a Gorizia (è morto lassù, tra i monti goriziani).

E poi l'ultima guerra. Dove mi cusein, fat parsuni e purtè in Russia ( fatto prigioniero e trasferito in Russia), a lavorare per un anno nelle miniere e poi tornato a casa a piedi e con mezzi di fortuna. E al zio ed mi mujer, (lo zio di mia moglie) Mario, parsunir in Germania (fatto prigioniero in Germania) che beveva le sue urine per vincere la sete e l'altro zio ed rni mujer, Amedeo, moria ca, per le ferite, un an dop la guera , dal quarantasì (morto a casa, per le ferite riportate, un anno dopo la fine della guerra, era il 1946). Che tristi racconti.

Adesa, ca sein anzian, la sera, in estate andiamo al bar, al cral, ci sediamo scostati dallo stabile, seguiamo la traiettoria del vento dove sconfigge miseramente l'afa.

A volte ci diciamo, et sintò la pasé, un etar as né andè (hai sentito il rintocco della campana della chiesa, ha suonato a lutto, una altra persona ci ha lasciati).

E anche se il caldo è insopportabile, noi l'abbiamo vissuto a mietere il grano, con la sgadoura, a segare scoline con il ferro, a dare acqua alla pietra (dèr la preda al fér).

Erano tempi difficili. E' meglio dimenticarli. Tuttavia an sé mai manchè al magner (non ci è mai mancato il cibo). Oggi vedo che vivono gli opposti. Vita è tutto ciò che non è morte. Salute è quanto non è malattia, o viceversa. Il divertimento, di oggi, è per noi vecchi qualcosa che non capiamo. Noi che andavamo spesso a letto all'arrivo del buio e ci alzavamo prima della luce, per essere, allo schiarire del cielo, già nei campi, abbiamo orologi differenti. Ma anche le lancette stesse segnano ore diverse. A volte abbiamo avuto una bandiera, che ci radunava, stavamo intorno al suo pennone, al suo sventolare. Eravamo in tanti. Oggi dei tanti, siamo rimasti pochi.

Mia figlia mi dice che il mio vissuto, è una piccola storia. Così, se mai è vero, ci sono tante altre storie.Sono le storie di noi che ci troviamo al cral, che ci diciamo "mò tè, l'et in meint ... (ma tu, te lo ricordi, lo hai a mente) ... e sono pagine su pagine, sono le nostre pagine, che io non avrei preso la briga di scrivere (che non avrei pensato di mettermi a scrivere) e tanto meno di volere ricordare.

 

 

 

Ricordi di Walter Galli, Granarolo dell'Emilia

(nato a Calderara di Reno il 27.02.1926)

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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