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L'uchera

C'erano una volta un marito e una moglie, sposati da tanto tempo, ma senza figli. A volte la donna diceva: «Ah ! Se avessi un figlio... come sarei contenta! Anche se avesse la forma di un maiale, io... io lo vorrei lo stesso!».

Alla fine il suo desiderio fu esaudito: la donna ebbe un figlio, ma con le sembianze di un maiale! Quando fu grande, questo "maiale" cominciò a grugnire: «Gr... Gr... Gr... Gr... a voi muiër! Gr... Gr... Gr... Gr... a voi muiër!». I genitori lo lasciarono "dire" per parecchio tempo, finché il giovane divenne feroce e furono costretti a pensare a come accontentarlo.

Conoscevano un sarto che aveva tre figlie: si fecero coraggio e gli chiesero se ne dava una in sposa al loro figliolo. Il sarto acconsentì e gli diede la maggiore. Venne il giorno delle nozze e ci fu una gran festa con parenti e amici, ma appena la festa fu finita lo sposo andò a sporcarsi nel fango, come fanno i maiali, poi andò vicino alla sposa e cominciò a imbrattarle il vestito. Vedendo questo, i parenti incitarono la ragazza, dicendole: «Dagli un calcio... dagli un calcio! Non vedi che cosa combina?».

E la sposa così fece. Alla sera, in camera da letto, lo sposo si tolse la pelle di maiale e si rivelò un bellissimo giovane. La donna, ammirata e felice, esclamò: «Ma... come sei bello! Sono proprio fortunata!».

Il giovane però le rispose: «Ah sì... adesso sono bello! Ma prima mi hai trattato male, mi hai cacciato e preso a calci e solo adesso mi trovi bello. Tu non mi meriti!». E, così dicendo, l'uccise.

Al mattino, si rimise la pelle da maiale e uscì dalla camera. I suoi genitori aspettavano che scendesse anche la sposa, ma, non vedendola arrivare, andarono a cercarla e la trovarono morta.

I due, disperati, non sapevano come fare a dare la brutta notizia al sarto, poi si fecero coraggio.

L'uomo pianse a lungo, ma alla fine perdonò il giovane per quello che aveva fatto.

Passò il tempo e il "maiale" ricominciò: «Gr... Gr... Gr... Gr... a voi muièr! Gr... Gr... Gr... Gr... a voi muiër!».

I genitori decisero allora di tornare dal sarto a chiedergli un'altra figlia e lui diede loro la seconda.

Ci fu un'altra bella festa di nozze e ancora una volta il giovane tornò a sporcarsi nel fango, poi si avvicinò alla ragazza che gli diede un calcio, così come aveva fatto sua sorella. Quella notte, quando i due si trovarono soli, si ripetè la scena della prima volta: lo sposo, dopo essersi mostrato sotto le sue vere spoglie, uccise la sposa perché l'aveva maltrattato, dimostrando di non volergli bene. Al mattino, scese da solo dalla camera e i genitori trovarono nuovamente la sposa uccisa.

Passò ancora del tempo e il "maiale" tornò a grugnire chiedendo un'altra moglie. I genitori cercarono di fargli cambiare idea, ma lui non sentì ragioni e divenne perfino aggressivo: così i due vecchi decisero di tornare dal sarto a chiedergli l'ultima figlia. L'uomo, che era veramente troppo buono, acconsentì ancora una volta.

Ci fu allora la terza festa di nozze e, ancora una volta, lo sposo andò a imbrattarsi nel fango e nel letame, poi si avvicinò alla sposa. Puzzava tremendamente e i parenti si misero a dire: «Dagli un calcio! Dagli un calcio!... Non senti come puzza?».

Ma la ragazza rispose: «Poverino! Perché devo dargli un calcio?... Non glielo do... povero animale!».

Quella sera, quando andarono a letto, lo sposo si tolse di dosso la pelle da maiale e rivelò alla sposa il suo vero aspetto. La ragazza si mostrò felice di quel cambiamento e l'uomo le disse: «Tu sei stata buona con me e io non ti uccido.

Non ti sei comportata come le tue sorelle, che mi hanno calciato e maltrattato. Tu mi vuoi davvero bene!».

Trascorse la notte e al mattino i due sposi uscirono dalla camera felici e contenti, ma il giovane continuava a nascondersi dentro la pelle di maiale. Sua madre, nel vedere che questa volta tutto era andato bene, chiese alla sposa come fosse riuscita a salvarsi. La ragazza le rispose: «Perché io non gli ho fatto del male!» poi aggiunse: «Madre... se vedeste! Sotto quella pelle si nasconde un bel giovane ! È talmente bello che io me ne sono innamorata subito!».

La donna era stupita nel sentire quelle parole e desiderava molto vedere il figlio nelle sue vere sembianze, allora chiese ancora: «Ma dove mette la pelle che si toglie quando va a letto?».

La sposa le rivelò il nascondiglio e la madre, la notte successiva, zitta, zitta, portò via la pelle del figlio. Al mattino il giovane, non trovando più la sua pelle, capì che la moglie aveva tradito il suo segreto e disse: «Hai rivelato la verità a mia madre, ma lei non può vedermi come sono realmente, ha sempre detto che mi avrebbe voluto anche sotto forma di un maiale e così mi deve vedere. Adesso io sono costretto ad andarmene e tu, se mi vuoi ritrovare, devi venirmi a cercare e consumare un paio di scarpe di ferro, un cappello di ferro e un bastone di ferro prima di potermi trovare!» e se ne andò.

Passò il tempo e la sposa, sempre più innamorata, si mise alla ricerca del marito. Gira, gira, gira... era riuscita a consumare un paio di scarpe, un cappello e un bastone di ferro, ma non l'aveva ancora trovato e non sapeva più dove andare.

Un giorno incontrò un vecchio e gli raccontò la sua storia.

Questi le disse di andare nel palazzo che si vedeva in lontananza e aggiunse: «Chiedi di essere messa a servizio e prendi queste tre scatoline. Vedrai, ti serviranno!».

La ragazza fece quanto le era stato detto.

Arrivata al palazzo, fu ricevuta dalla padrona alla quale chiese di essere presa come cameriera, ma la signora le rispose: «Sono già in troppi a lavorare per me, l'unica cosa che potresti fare è custodire le oche. Ne abbiamo tante!».

Passò il tempo: la ragazza ogni giorno accudiva le oche finché, una volta, accanto alla sua padrona vide un uomo e con grande meraviglia si accorse che era suo marito. Lui invece non la riconobbe, perché oramai non l'aspettava più e anche perché, per le privazioni e gli stenti del lungo viaggio, era piuttosto sciupata. La donna soffrì molto al pensiero che il marito si era risposato e l'aveva dimenticata, ma poi pensò a come fare per riconquistarlo e si ricordò del dono del vecchio.

Così la sera, stanca e affaticata, aprì la prima scatolina: ne saltò fuori un bellissimo vestito che indossò e con il quale cominciò a volteggiare, rimirandosi. Le oche, spaventate, corsero via starnazzando e facendo confusione. Attirata da tutto quel rumore, la padrona uscì e vide la guardiana delle oche così ben vestita, che desiderò avere per sé quell'abito meraviglioso. Lo chiese alla giovane, e questa rispose: «Piace anche a me, ma, se proprio insistete ve lo regalo, purché mi facciate passare la notte con vostro marito!».

La donna ci pensò un po', poi accettò, ma, di nascosto, versò una pozione nel bicchiere del marito, così, quando la guardiana delle oche arrivò in camera, trovò l'uomo profondamente addormentato.

La giovane non si scoraggiò e prese a dire: «Ho consumato un paio di scarpe di ferro, un cappello di ferro, un bastone di ferro per trovare il mio bel marito, ma adesso che l'ho trovato non mi guarda più!».

L'uomo continuò a dormire e lei continuò tutta la notte con la sua cantilena, ma inutilmente.

Al mattino la guardiana delle oche fu rimandata al suo lavoro. Quando fu sera aprì la seconda scatolina da cui uscì un altro vestito, ancora più bello del primo: lo indossò e ancora una volta le oche fuggirono spaventate. Arrivò la padrona che, vedendola così bella, le chiese subito di darle anche quell'abito. La giovane glielo regalò pur di poter trascorrere ancora una notte con suo marito.

La donna acconsentì, ma anche questa volta la guardiana delle oche trovò l'uomo profondamente addormentato.

Le restava solo l'ultima scatola. La sera successiva la giovane l'aprì e vi trovò un abito ancora più bello degli altri, con ornamenti d'oro e d'argento e con stelle di brillanti. Le oche si spaventarono ancora di più alla vista di tanto splendore. La padrona, vedendola, le chiese anche quell'abito e la guardiana di oche ottenne di passare ancora una notte con il marito.

Venne la notte. La giovane andò in camera dall'uomo e cominciò a dire: «Ho consumato un paio di scarpe di ferro, un cappello di ferro, un bastone di ferro per ritrovare il mio bel marito, ma adesso che l'ho trovato, non mi guarda più!». Continuò a ripetere il suo lamento, finché il marito si svegliò e riconobbe la sua vera sposa, che per lui aveva tanto penato.

Al mattino, quando la padrona la chiamò e le disse: «Uchêra, uchêra, zò a badêr a gl'och!»2, la giovane rispose: «Uchêra mé?... Uchêra té! Che quòst l'é mi maré!»3.

Così la padrona divenne la guardiana di oche e la guardiana ritornò padrona, accanto al proprio marito.

 

 

 

Racconto di Virginia Landi

Tratto da: I nonni raccontano ancora.  Favole, storie e storielle del mondo contadino, Ed. Pendragon, Bologna 2006

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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