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Il trasloco

Mi chiamo Pasqua ed ho 80 anni. Devo dire che nella mia vita ho fatto dei bei viaggetti con mio marito e i miei figli. Eppure quello che ricordo con più piacere è stato il viaggio che ho fatto da bambina per trasferirmi in un altro paese. C’era la guerra e tanta miseria. La mia famiglia all’epoca abitava a Faedo, un piccolo paesino sui Colli Euganei. Non c’erano tante possibilità di lavoro e, come la maggioranza delle famiglie di allora, i miei genitori dovevano pensare a crescere i miei fratelli e me, ero la piccola di famiglia! 

Seppero da alcuni loro conoscenti che, in un piccolo paesino emiliano, Cà Dè Fabbri , c’erano delle buone prospettive di lavoro come braccianti presso dei proprietari terrieri. Anche se ero piccola ricordo i discorsi dei miei genitori. Dopo cena quando eravamo già andati a letto e loro credevano che noi fossimo già addormentati . Io invece sentivo le loro voci.

“E’ rischioso – diceva la mamma – Partiamo all’avventura, e se poi non troviamo lavoro rimaniamo anche senza quel pò che abbiamo qui! Dobbiamo pensare a loro, devono crescere, studiare, qui cosa avranno? C’è poco da lavorare. La scuola è giù, fino in paese. Vedi la nostra bimba d’inverno che fatica fa a piedi e con la neve?”
“Si deve partire! Ci hanno assicurato che c’è lavoro, dobbiamo andare fin che siamo giovani anche noi!”
Così, sera dopo sera, la mamma si convinse a partire.
Il viaggio che abbiamo intrapreso è stato davvero lungo e faticoso.
Quell’anno il Po aveva “rotto” e le strade della bassa ferrarese erano tutte allagate e non percorribili.
Per arrivare in Emilia avremmo dovuto percorre il doppio dei chilometri perché eravamo obbligati a fare la strada più lunga e cioè passare per Mantova. Così cominciò subito con un intoppo e mamma disse: “Chi mal comincia, ben finisce”.
Ho pensato: “Beh se dice uno dei suoi tanti proverbi e per giunta positivo, vuol dire che si è proprio convinta!”
Se ci penso ora capisco le sue paure, ma capisco anche il babbo. Siamo partiti su un camion sgangherato e sul rimorchio, che non era neppure coperto da un telo, dove avevamo stipato tutti i nostri beni. C’erano sedie, armadi smontati, la cucina a gas con tutte le posate pentole e piatti, tutto insomma. Pensate: il babbo era stato avvertitoche in Emilia c’era carenza di legna e così, all’ultimo momento, andammo nel mio amato bosco vicino a casa a raccoglierla. Dico amato perché quel bosco mi ha visto correre felice quelle rare volte che avevo un pò di tempo per giocare oppure quando, più spesso, andavo a raccogliere funghi o lumache per la cena. D’autunno ci andavo invece a raccogliere castagne.
Beh, insomma, quel giorno invece abbiamo caricato un bel pò di legna, che legammo ben benino formando delle fascine e che poi caricammo sul rimorchio ormai stracolmo. Nella cabina c’era posto per il babbo, la mamma e i miei fratelli ma non per me e così la Pasqua ha fatto tutto il viaggio sul rimorchio, seduta sulle fascine di legna. La mamma mi aveva dato una coperta per stare più calda. Chissà se è per questo motivo che ancora adesso soffro tanto il freddo e porto sempre la cuffia di lana?
Ragazzi, credo che pochi abbiano idea di un viaggio su un camion non proprio nuovo, stracolmo di cose fermate alla belle e meglio e seduti su dei tronchi! Per di più, tanto per migliorare il quadro, in quel periodo le strade erano ancora sterrate!
Quanti scossoni, gnic, gnac, si sentiva ad ogni curva e ad ogni buca. Le pentole sgarabattolavano e le fascine… beh! Se il mio fondoschiena avesse potuto parlare chissà cosa avreste sentito! Ogni tanto il babbo si affacciava dal finestrino e mi urlava: “Pasqua ci sei ancora? Non sei mica volata via vero? Canta ben che così ti sento e so che sei ancora lì !”
E’ stata lunga davvero, ma i bambini lo sapete, trovano il modo di divertirsi in quasi tutte le situazioni.

 

 


Racconto di Pasqua Onagro
Casa Protetta di Granarolo dell'Emilia

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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