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Il Natale di ieri

Nadia Galli bambina
Nadia Galli bambina

Il Natale di ieri è narrato da mia madre, Elda, da me, Nadia, che oggi abbiamo rispettivamente 74 e 46 anni. Mia mamma Elda, ricorda con emozione i nove giorni precedenti il Natale, i quali obbligatoriamente impegnavano gli adolescenti e gli adulti alla "novena". Ogni mattino alle sei iniziava la funzione religiosa, poi i bambini si dirigevano all'asilo e gli adulti al lavoro del campo.

La giornata della Vigilia di Natale era dedicata al digiuno dalla carne. Il pasto del mezzogiorno era semplice, ma la cena consisteva in una vera e propria festa, sia di ricorrenza religiosa che famigliare e rituale. La nonna Clelia, (nonna di mia mamma Elda), nata nel 1862, metteva sulla piastra della cucina a legna la pentola per cuocere gli spaghetti da condire con il tonno e sugo di pomodoro preparato nell'estate nell coltivazione dell'orto domestico. Nel frattempo tutti i convenuti recitavano il rosario con il nonno Vittorio (classe 1860). Il nonno era in testa alla recita con la corona ed appoggiava le ginocchia alla seggiola semi piegata in avanti.Dopo gli spaghetti, la nonna serviva l'anguilla in umido di prezzemolo, aglio e sugo di pomodoro.

Il contorno era preparato con cavolo cappuccio saltato al burro. I cardi venivano cotti in umido con il sugo di pomodoro. La cesta delle verdure fresche da mangiare in pinzimonio vedeva il sedano, imbiancato nelle fosse scavate nel terreno all'inizio dell'inverno, il radicchio e le altre verdure stagionali. 

Le "arzdoure", (termine bolognese per designare le donne che accudivano la mensa e la casa) avevano preparato nei giorni precedenti il panone (della tradizione bolognese) e cotto nel forno a legna che ogni casa colonica disponeva. Il panone richiedeva una lunga lievitazione. Per il panone si miscelavano: la farina, il burro, lo zucchero, il lievito secco in polvere, la marmellata, i fichi seccati nel forno a legna, bolliti a bagnomaria e conservati nei vasi con lo zucchero, le noci e l'uva passita. Era l'uva prodotta dal vigneto e asciugata nel forno a legna, dopo la cottura del pane, quando la temperatura diminuiva e si lasciava sulle griglie d’essicamento per una intera notte.  A cena ultimata tutti i bambini più piccini si avvicinavano in semicerchio al camino e il nonno Vittorio preparava le caldarroste.

A cottura ultimata, il nonno preparava la "vintura", inseriva le monetine nel taglio delle caldarroste, le riponeva in un cestino di vimini imbottito per preservarne il calore e lo copriva con un cencio di tela, iniziava così la pesca per i bambini che si appropriavano delle monetine nella pancia delle castagne. II tronco di legno adagiato nel camino doveva bruciare lentamente e doveva avanzarne un pezzetto che, la mattina del giorno di Natale si toglieva e, nei tempi di minaccia di grandine, si portava nel cortile, per scongiurare il disastro dei raccolti.

Con il gruzzoletto di monetine "pescate" nelle caldarroste si giocava a carte e chi perdeva pagava un pegno.

Quando si andava a dormire, si lasciava la tavola apparecchiata, perché, per diceria, si voleva allontanasse la sfortuna.La mattina di Natale la nonna Clelia preparava la pentola di bollito con il cappone e il manzo. A
parte bolliva il cotechino e lessava le patate.La tavola di Natale vedeva i tortellini, manzo impreziosito con la salsina di verdure cotte, il cappone arrostito e contornato di insalata verde fresca e il cotechino con purè. Si consumava ancora il panone che si conservava fino a carnevale e il pranzo si concludeva con la torta di riso.L'epoca non permetteva scambi di regali. Però, ciò che-avanzava dalle preparazioni culinarie natalizie, diveniva dono nella sera dell'Epifania: un mucchietto di uva secca, un taglio di panone e qualche noce.

 

 

... ed ora la mia narrazione, di quando ero bambina.


La Vigilia di Natale mio padre Walter, ora ottantenne, mi regalava l'albero vero. Poiché era consuetudine, quando lo vedevo uscire di casa, sceglievo le palline di vetro per abbellirlo. L'albero era alto fino al soffitto e lo tenevamo in cucina, poi a Sant'Antonio lo mettevamo a dimora nel cortile insieme agli alberi dei Natali precedenti. Sotto il camino facevo il presepe con le statuine che mi avevano donato i miei genitori e negli ultimi anni delle scuole elementari, un mese prima del Natale, il sabato mattina lo si dedicava alla costruzione delle casette di legno con il compensato.
I preparativi per la cena della Vigilia io li ricordo diversi da quelli di mia mamma Elda.Poiché nelle campagne, del tempo, il forno era caduto in disuso. Per cuocere i panoni, che sono ancora nella nostra tradizione bolognese, si eleggeva una famiglia che metteva a disposizione la propria struttura e, tutti gli abitanti del vicinato si adoperavano a portare un carretto di legna.
La pasta del panone era divenuta più ricca, s1 metteva anche la cioccolata, i canditi, il miele, i pinoli e le mandorle. Io ricordo che quando, la mamma Elda e la nonna paterna Maria (classe 1901) li impastavano, io rimanevo vicina alla terrina e allungavo la mano per rubare qualche ciliegia candita. Poi, sul carretto si portavano tutte le teglie al forno eletto. 
Era bellissimo vedere lo spirito di amicizia che regnava in queste famiglie.A cottura, ciascuno riportava a casa i suoi panoni e ciascuno li aveva decorati a proprio piacere, il più delle volte con una raggiera di canditi di arance e limoni.Io, nella mia stanza pitturavo i vetri con i pastelli, disegnando alberi di Natale e stelle comete sopra alla capanna.
La stagione decorava il periodo natalizio con la neve, ed io infreddolendomi costruivo un pupazzo mettendogli la sciarpa, la scopa sottobraccio, con i sassi gli facevo occhi e bottoni e recuperavo un vecchio cappello che il nonno aveva abbandonato.  Nonostante il passaggio di decenni, la sera della Vigilia, la tradizione gastronomica e religiosa si era mantenuta. Sotto il piatto di papà Walter io mettevo la letterina di promessa e di buon auspicio. La letterina lac omperava nei giorni precedenti la mamma Elda e, ricordo aveva il tema natalizio, montagne innevate, renne e brillantini. Anche se il papà sapeva bene che non avrei mantenuto tutte le promesse, metteva mano al portafoglio e mi dava qualche soldo. Quando andavo a dormire, la mamma sotto l'albero metteva tutti i regali dei parenti che, io avrei trovato, al risveglio, il mattino di Natale.

A mezzogiorno del giorno di Natale si andava alla Santa Messa e si "spianava", cioè si indossava qualcosa di nuovo, perché si soleva portare fortuna. Il nonno paterno, Celso, (classe 1902) si infreddoliva i piedi durante la funzione religiosa, cosicché la nonna Maria, gli faceva trovare sotto la tavola, a pranzo una "suora" (un contenitore in alluminio con manico in legno) pieno di braci. Il pranzo era lo stesso della tradizione bolognese, ma il pomeriggio io, che ero bambina, recitavo il sermone davanti al presepe della chiesa parrocchiale.

 

 

 

Racconto di Elda Musiani e Nadia Galli, Granarolo dell'Emilia

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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