La favola di Materlaccio

 

C'erano una volta madre e figlio. Il ragazzo si chiamava Materlaccio.

Un giorno sua madre andò al mercato e gli disse: «Oh, Materlaccio, sai che cosa devi fare? Devi fare il pane». Poi sua madre andò al mercato. Lui prese la farina e invece di impastarla sul tagliere, la impastò nel cassone. Poi cominciò a dire: «Pensi, acqua, che io non abbia farina? Pensi, farina, che io non abbia acqua?». E poi impastò tutto il pane. Poi disse: «Ma mia madre mi ha detto di menarlo». Allora andò nella stalla, prese la carriola e ci mise tutto il pane. E dopo, quando è lì, mena e mena questo pane nella carriola, poi disse: «Ma mia madre mi ha detto anche che devo cuocerlo». Fa' tutto un gran falò e poi butta tutto l'impasto nel fuoco.

Quando arrivò sua madre e credeva di mangiare il pane, il pane era andato tutto bruciato. Allora disse: «Materlaccio, ma che cos' hai fatto?». «Ah, mamma, mi hai detto di menarlo, questo e quello, e io ho preso la camola».

Un altro giorno, sua madre andò al mercato. Gli disse: «Mi raccomando, fa' il bravo». Poco dopo passò un uomo che cercava del ferrovecchio e chiese: «Avete del ferrovecchio?». «Ah», disse, «mia madre ne ha una pentola sotto il letto». Ma nella pentola c'erano tutti marenghini d'oro. Quell'uomo era tanto contento! Gli diede un franco e scappò via. Quando arrivò a casa sua madre, gli disse: «Cos'hai fatto, Materlaccio?». «Ah, mamma, è venuto un uomo che cercava il ferrovecchio e io gli ho dato quello che avevate sotto il letto». «Ah, poveri noi, era tutta la nostra fortuna! Adesso non abbiamo più da mangiare: come facciamo?». Allora, poiché le erano rimasti due franchi, disse: «Materlaccio, domattina vai al mercato e prendi un peso di farina di granturco».

Allora lui andò e prese un peso di farina di granturco. Quando era già un po' avanti verso casa, cominciò a tirare un gran vento, un vento che portava via. Allora lui prese la farina, la scosse tutta in terra e disse: «Oh, vento, portala a casa a mia madre, che faccia la polenta». Quando arrivò a casa: «E dov'è la farina?». «Ah, mamma, te l'ho mandata a casa con il vento». Allora lei disse: «Qui non c'è più niente da fare: bisogna scappare. Bisognerà andare a chiedere l'elemosina, in cerca di fortuna». Si avviò fuori di casa e disse: «Oh, Materlaccio! Tirati dietro la porta!». E lui si caricò la porta sulle spalle.

Dopo un bel tratto di strada, non sapevano dove andare a dormire. Allora vanno su un albero. Lui aveva la porta addosso; ma sua madre non aveva visto. Sotto quell'albero, nel frattempo, si erano radunati dei ladri per contare i quattrini. Dopo un po', Materlaccio disse: «Mamma, mi scappa da pisciare!». «Oh, per l'amor di Dio tienila, che i ladri qui sotto ci ammazzano!». Allora lui: pssss... E i ladri sotto: «Ma guarda, viene a piovere!». Dopo un po' disse: «Mamma, mi scappa da cagare!». «Oh, Dio mio, tienila, poverino, per l'amor di Dio, per l'amor di Dio!». Allora lui: prummm... E i ladri sotto: «Ma guarda, Nostro Signore ci manda un po' di manna!». Dopo un altro po', lui disse: «Mamma, mi scappa la porta». «Eh, ma figurati se... Ma hai la porta addosso?». Brummm! Gli scappò la porta: e i ladri scapparono come lepri. E loro scesero e presero tutto il bottino. E tornarono ricchi.

 

 

 

Favola trascritta dalla narrazione di Irma Tozzi delle Frescare del 30 agosto 1973.

Tratto da: “T'à da stare a savére … Vecchie favole del Belvedere”, Gli scritturini del Rigletto n.14, Lizzano in Belvedere 2006.