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L'amico dei tempi che furono

Mi stupisco ancora di fronte all’amicizia, al sostegno e all’umanità che ho vissuto quarantacinque anni fa e che ancora oggi, ricordo, ripensando al mio grande amico che mi ha lasciato. Abitavo insieme ai mie i genitori, “i vecchi” di famiglia, mia moglie e a mia figlia, allora bambina, in una piccola frazione di un Comune bolognese.

La località era a vocazione agricola con presenza di lavoratori della terra data a mezzadria e a scale gerarchiche di fattori, caporali e proprietari residenti nel capoluogo.Il lavoro dei campi, duro, legato alle stagionalità e alle avversità iniziava prima dell’alba e finiva a riposo inoltrato del tramonto.

Un gruppo di famiglie abitava le diverse case della immensa proprietà fondiaria, tutte case uguali costruite nell’immediato dopo guerra e attorniate da terreni coltivati a orticoltura o frutticoltura, vigneti. Le stalle popolate di animali da tiro e da traino, da latte, i porcili con bei suini per l’alimentazione invernale e i pollai con galline, pulcini, anitre e a volte oche a custodia degli eventuali intrusi: zingarelli o poveri in cerca di un pollo da spennare, di un piccolo furto o di una ruberia da quattro soldi.
Questa piccola comunità era solita scambiarsi la mano d’opera secondo le necessità dei lavori e l’approvazione di chi era investito di compiti superiori. Al mio amico era dato questo ruolo. Quando gli impegni si rallentavano e restavano le quotidiane conduzioni delle fattorie, questo accadeva nell’inverno inoltrato, si ritagliavano momenti di spensierato ritrovo collettivo.

A gennaio di ogni anno si lavoravano a ruota le carni dei suini allevati, si eseguivano le pratiche dell’asciugatura delle salsicce, nelle pertiche, di salatura dei prosciutti e dell’arrotolamento della pancetta.

Poi il lavoro si concludeva con la produzione dello strutto per fare una grande padellata di crescentine. Era una famiglia allargata che stava seduta attorno alla tavola più grande nella loggia della casa di chi amministrava i lavori e la conduzione delle terre. Il mio amico era una figura di saggezza, non d’imposizione.
La stagione di ripresa lavori era già alle porte, dopo la convivialità, il mio amico, nella veste di sorvegliante del buon andamento della conduzione dei terreni e della loro prosperità, ogni mattina si presentava alle fattorie. Mai una parola di autorità, mai un gesto di prepotenza, era sempre pronto a consigliare e a intervenire armoniosamente.
Quante fatiche sopportate, tutti insieme, quanto sudore estivo sui campi di patate e sui camion da caricare e quante poche lire restavano a noi contadini.Quando il tempo della mezzadria, del bracciantato è finito, ogni famiglia della grande proprietà fondiaria è migrata nei territori vicini, acquistando un podere, andando a lavorare in fabbrica. Molti anziani erano diventati una foto di famiglia da appendere al quadro della Madonna.
Il mio amico ha avuto il benestare di mantenere l’abitazione e di mantenere, con i conto terzisti, la produzione estensiva delle proprietà oramai abbandonate.
Gli anni sono passati, tanti anni, tante volte io e il mio amico ci siamo ritrovati, da pensionati, a raccontarci, a ripeterci le fatiche, la forza dell’età e del lavoro che non mancava. Ci siamo ricordati il gelo dell’inverno, i ghiaccioli alle finestre, i papaveri nel grano, i panettoni di Natale e le nascite dei figli, i loro giochi e i “passaggi “degli abitini di bambino in bambino fino alle toppe sulle ginocchia.
I complimenti che ci scambiavamo era un tornare, per un istante, alla terra lavorata, di circa mezzo secolo fa, lui diceva a me: “Tu sei stato il re dei sedani e dei cardi invernali” e io ripetevo a lui “Tu sei stato l’allevatore degli animali, il saggio delle controversie, delle parole ben dette e ben misurate, della mano sempre tesa per tutti e a favore di tutti ”.
Questi ultimi tempi, lui usava il bastone per sorreggersi, la dentiera gli ballonzona in bocca, sotto ai suoi baffetti, già imbiancati; io camminavo e cammino con il roller.
I momenti d’incontro erano ultimamente dati dai nostri personali taxisti: mia figlia e suo nipote; si turnavano per farci passare ore in chiacchiere.
Ogni saluto, era sempre un appuntamento alla prossima visita.
Il destino ha voluto che lui se ne andasse l’estate passata e che sua moglie lo seguisse pochi mesi dopo.
Era l’ultimo baluardo della grande proprietà, dell’armonia che deve esistere per stare bene tutti insieme. Oggi è l’amico che ogni mattina vede il mio sguardo rivolto alla sua piccola e ultima casa, la sua tomba nel cimitero a pochi chilometri da casa mia, di fianco ai miei suoceri.

 


Racconto di Walter Galli, Granarolo dell’Emilia

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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